FONDAZIONE
STEFANO LORIA
Fratelli nella diversità.
Su iniziativa del Consiglio Direttivo della Associazione Centro
Poiesis, che approva, è costituita in data 27.08.2013 la Fondazione di fatto
Stefano Loria “fratelli nella diversità” con la finalità di sostenere le
iniziative del Centro Poiesis. A partire dal 1° marzo 2016 la fondazione si
rinnova e vengono inseriti nel gruppo dei soci sostenitori i rappresentanti
delle associazioni Istituto Sales,
Poiesisolidale e Gitani e Centro Poiesis.
I momenti di crisi e di difficoltà delle persone sono una
importante occasione di crescita che smuove modalità vecchie e disfunzionali,
per lasciare il posto al nuovo che avanza. Non riuscire a dare compimento al
processo di crescita interiore è il vero dramma dell’uomo: se la crisi annienta
la persona e la rende avulsa dal contesto umano, a niente sarà servita tutta la
sofferenza che si accompagna sempre ai momenti di crisi dell’uomo. Favorire la
crescita delle persone in occasione delle crisi è quindi un obiettivo nobile ed
elevato, sul quale vale la pena investire.
La diversità tra le persone, già nei rapporti familiari, e
quindi tra i fratelli, è la prima esperienza che ci spinge verso l’integrazione
sociale, o verso la divisone. Maturare la consapevolezza che nessuna diversità
può impedire di amarci di un amore vero, è un obiettivo sacro verso il quale
tutti abbiamo bisogno di tendere.
La Fondazione è costituita da:
1.
i soci
fondatori, che danno vita alla
fondazione; essi procurano il patrimonio iniziale e fanno si che gli scopi
della fondazione vengano perseguiti nel tempo.
2.
i soci
sostenitori, che condividendo le
finalità della fondazione, sostengono la sua attività; essi possono avviare
attività o eventi, finalizzati a perseguire gli scopi della fondazione, anche
mediante gli strumenti organizzativi ed amministrativi della Associazione
Centro Poiesis. Decidono sulle proposte con votazione a maggioranza.
La Fondazione ha come organi:
1. il consiglio generale, che riunisce i soci
fondatori ed i soci sostenitori, con finalità di condividere le scelte
programmatiche;
2. il collegio dei partecipanti, che ha
compiti consultivi e propositivi, che riunisce i soli soci sostenitori.
La fondazione si avvale delle proprie risorse economiche e
materiali per sostenete le iniziative del Centro Poiesis, e di fatto si mette
al suo servizio. Utilizza il c/c bancario della Associazione Centro Poiesis e
la sua organizzazione per l’espletamento delle proprie funzioni.
Coloro che nel portare
avanti una delle iniziative del Centro Poiesis desiderassero essere sostenuti
materialmente, devono presentare un progetto che descriva le sue
caratteristiche e le modalità del sostegno richiesto. Segue l’approvazione dei
soci sostenitori.
Soci sostenitori:
Alessandra De Colle, Annadele Salis, Antonella Onnis, Carlo Murtas, Donatella
Crisafulli, Enrico Loria, Gabriella Ferru, Giampiero Monni, Gianna Zanda,
Giovanna Salis, Giulia Garbinelli, Grazia Vacca, Mariella Corradi, Monica
Loria, Paola Marongiu, Pierangela Anedda, Pina Porcedda, Roberta Piludu,
Rossana Emilia Pani,
Sabrina Boi.
(Soci fondatori: Enrico Loria, Grazia Vacca, Monica
Loria).
Per informazioni
contattare:
Associazione
Centro Poiesis - 070.504.604 - centro.poiesis@tiscali.it
Enrico, rimani
qui, non andare via…
Sono le ultime parole di mio fratello Stefano, per opporsi alla
richiesta dell’infermiera del reparto che insisteva nel ricordare che il tempo
della visita era terminato, e che lei non avrebbe somministrato la terapia prevista
finché non fossi andato via: ovviamente non potevo sapere che non avrei mai più
rivisto vivo Stefano.
“L’intervento chirurgico è andato bene” aveva detto infatti poco
prima la dottoressa di turno, ed io non avevo motivo di dubitare, non potevo
immaginare che nelle ore successive il sistema cardiocircolatorio non avrebbe
retto alle dure prove della sua vita, intervento chirurgico compreso. Del
resto, da alcuni giorni, una profonda fiducia mi accompagnava, e più volte in
questo periodo ho pensato dentro me, con una inspiegabile sensazione di
certezza, che le sue sofferenze erano
arrivate alla fine: non sapevo però che sarebbe stato in un modo così diverso
dalle mie aspettative. La fine della sua sofferenza era in realtà essere
accolto nella luce e nel calore di Dio. Io non avrei potuto fare nulla per lui
anche se fossi rimasto, ma le sue ultime parole rimangono per me come il
sigillo del periodo di separazione terrena che ci attende, come la sua ultima
volontà di essere unito. E questa ultima volontà non potrà più svanire.
La mia fantasia più angosciante da bambino era che Stefano
potesse morire. Lo pensavo in conseguenza di quella sua salute apparentemente
così cagionevole. Questa fantasia era riemersa esattamente un anno fa,
nell’aprile 2012, quando lui, dopo un periodo difficile di vicissitudini
fisiche e psichiche, era stato di nuovo male, e
si era recato all’Ospedale Brotzu per dei
forti dolori addominali, dove veniva diagnosticata una peritonite acuta, in
conseguenza della perforazione di un diverticolo intestinale. Il mio timore che
potesse non farcela mi fece chiamare al telefono Don Mario Steri, che accettò
di venire immediatamente in ospedale con me, per dare l’estrema unzione. Quella
notte stessa, quando la collega che lo operò fece squillare il mio cellulare
alle 2,30 del mattino per dirmi che era andato tutto bene, e che come previsto
era stato necessario effettuare una “stomia”
provvisoria, provai sollievo, e allo stesso tempo pena per lui, che avrebbe
dovuto affrontare una nuova ennesima prova della vita. Sarebbe stato solo per
qualche mese diceva, e poi sarebbe stato operato di nuovo per ricanalizzare
l’intestino, e ripristinare la normalità. Ma lui di questo intervento,
apparentemente banale e programmabile, aveva timore, tanto che il tempo
passava, ed io cominciavo a pensare che non si sarebbe più operato per
ritornare alla normalità, come se esistesse una normalità. Se è vero che
l’inconscio sa tutto, il suo timore per il nuovo intervento era giustificato.
Enrico, rimani qui, non andare via. Accolgo inizialmente la sua
richiesta, cercando di imbrogliare l’infermiera e facendo finta di uscire, per
rientrare poco dopo.
Il suo attaccamento all’Ospedale Brotzu,
al quale si rivolgeva con eccessiva facilità ogni volta che stava male, era iniziato
quando sia io che lui eravamo due ragazzi, quando una mattina, vedendolo molto
debilitato per una normale influenza che sembrava non risolversi più, io,
giovane studente in medicina e neo patentato, di impulso lo presi in braccio
così come era, in pigiama, e sceso dalle scale a piedi lo caricai nella
macchina di mia madre, e lo portai in quell’ospedale nuovo, che vedevo moderno
ed attraente, per chiedere cortesemente che venisse ricoverato. Assistito in
quell’ambiente ospedaliero, si riprese molto in fretta. Quando negli anni
successivi riconobbi il suo attaccamento a quella struttura, verosimilmente
sviluppatosi in quell’episodio, capii che si era creato un imprinting che
legava me, lui, e l’assistenza medica, in un modo indissolubile.
Enrico, rimani qui, non andare via. Durante l’ora della visita,
che si prolungava oltre il tempo, quando facevo capire che dovevo andare via,
ripeteva questa frase, in un modo che mi colpiva. C’è chi è solitario per
scelta, come i monaci ed i single, chi lo è invece per necessità. Ma le due
cose a volte coincidono in un sentimento unico, di necessità è di virtù. Così
era per lui, dove la scelta di solitudine, in fondo da lui voluta, era però
condizionata dalle vicissitudini della vita, in seguito alle quali era rimasto
veramente solo. Ma in quest’anno di vita trascorso ritirato in casa, dove
sembrava aver trovato un suo equilibrio nella solitudine, alcune volte avevamo
parlato in un modo nuovo, e molte incomprensioni del passato sembravano
svanite. Entrambi riuscivamo a venirci incontro nel dialogo, per comprenderci
ad un livello che in precedenza sembrava impossibile. La sua frase: rimani qui,
non andare via, sembrava il segnale di una ritrovata sintonia, e questo
confermava in me l’idea che le sue sofferenze potevano finalmente estinguersi,
in virtù di una nuova capacità di intesa nella diversità di entrambi.
La diversità, si, perché è questo che caratterizza tutti gli
uomini, il fatto di essere unici, e quindi diversi. Ciò che unisce le persone
non è l’uguaglianza, o la conformità, ma è l’andare più in profondità, al di là
di tutte le diversità, nel luogo interiore che ci unisce tutti nell’amore
incondizionato. Ma questa grande conquista non è per niente facile. Con Stefano
abbiamo vissuto una vita di diversità, e di incomprensione reciproca, che
sembrava finalmente svanire nel desiderio comune e condiviso di unione. Essere
fratelli per noi ha rappresentato vivere due polarità, due modi di vedere le
cose, e come spesso capita, non riuscivamo ad incontrarci veramente, ma sempre
con dei compromessi. Il limite umano non è essere diversi, che in realtà è una
ricchezza, ma non capire che da soli non si può fare nulla, e solo nell’ascolto
reciproco si compie il miracolo della vita.
È così che sono andato via, senza rendermi conto della natura
intima della sua ultima richiesta, senza rendermi conto che il tempo aveva
deciso di mettere in atto il suo gioco, quello di separare, per rafforzare il
proposito individuale di unione, perché diventi quindi indissolubile,
definitiva, eterna. E’ l’unione che sperimenteremo nel paradiso.
E’ così che siamo rimasti ora, con la premessa che questa unione
sia spirituale, prima che diventi anche totale. Tutte le mie sciocche fantasie
dell’ultimo periodo, come riprendere insieme una nuova collaborazione al
Poiesis non appena fosse guarito, o comprare due moto uguali per dei giri
insieme, nella parità, e tante altre, svaniscono ora improvvisamente, per
lasciare il posto all’unico pensiero che oggi ha un senso: ritrovare, da questa
posizione, il senso profondo di essere fratelli.
Eccomi Stefano, sono qui, non vado via, rimango con te. Ora che
sei lontano ed invisibile ho un compito ancora più difficile: riconoscerti in
ogni fratello ogni giorno della mia vita. Nella tua povertà sei sempre stato
generoso, ora che sei ricco, intercedi per tutti noi da lassù, grazie.
Enrico.