di
Enrico Loria
Piove.
Che sorpresa in questo sabato pomeriggio d’estate. Ma non dovrebbe fare caldo?
Di solito il 10 Agosto la gente è impegnata a trovare un modo per fuggire alla
calura, e andare in vacanza, dopo un anno di fatica e di impegni. Che lieta
sorpresa per me, che stavo tranquillo senza nessun particolare programma, se non
quello di riposare, leggere, e meditare. Guardo fuori dalla finestra la pioggia
fitta e fine che scende, nella penombra di questo pomeriggio nuvoloso e deserto
di città nel cuore di agosto. Sento che guardare la pioggia mi conforta. Apro
la finestra, e sento il fresco venticello misto ad odore di pioggia e di terra,
inconfondibile regalo del naturale incontro dell’acqua con la terra e
l’erba.
Piove,
e desidero guardare in profondità agli alberi in lontananza, ed i palazzi
retrostanti. Mi incanto, come per rilassare il mio sguardo e i miei muscoli,
evidentemente un po’ tesi. Così come la pioggia che scende, il mio corpo
desidera lasciarsi andare, lasciarsi cadere. Desidero scorrere, sfiorare le
foglie, la terra, gli oggetti che incontro, senza attaccarmi a nulla, ma
semplicemente fluire, naturalmente. Mi immagino di essere acqua, che per sua
natura fluisce nel contatto con le cose che incontra, con i corpi che nuotano in
essa, con le radici delle piante sui bordi dei fiumi, e che nel suo scorrere
saluta tutto ciò che incontra e che non rivedrà, ne possiederà.
Piove,
e questa pioggia consola e rinfresca chi come me stava fermo nella quiete del
pomeriggio, e non aveva da rispettare programmi e tabelle di marcia per andare
chissà dove a fare chissà cosa. Si, è vero, ho bisogno di consolazione, ed è
per questo che avevo scelto di non arrabattarmi in gite o partenze, che
avrebbero contribuito a distrarmi e confondermi da ciò che per me più conta.
Ho bisogno della tua consolazione Signore, magari regalata nel momento più
inaspettato, dalla persona da cui meno me la aspetto. Come vedi, sono qui,
seduto nella mia miseria, su ciò che resta del mio viaggio alla scoperta delle
parti più ricche di me stesso, una miseria che finalmente riesco a riconoscere
come mia. Mi conforta essere arrivato fin qui vicino alla verità, la
consapevolezza del mio limite. Attendo il tuo dono di misericordia, di ricchezza
d’amore, amore che è solo tuo. L’amore che io vivo, quello che trasforma le
cose e le persone, viene da te. Per tanto tempo pensavo che fosse mio, e mi sono
inorgoglito nel vedere ciò che riuscivo a fare. Ho accettato di vivere la
prova, perché nel mio cuore c’era già la sensazione che non fosse tutto così
come lo stavo comprendendo.
Continua
a piovere, e mi piace continuare a guardare la pioggia. Arriva mio figlio, il
mio bambino che ora ha due anni e mezzo, anche lui incuriosito da questo
inaspettato piovere. Mi chiede di toccare la pioggia, anche lui evidentemente
attratto dal suo fluire. Lo prendo in braccio ed insieme usciamo fuori per farci
toccare dalle gocce che cadono. Lo stringo a me e giocosamente accentuo le
sensazioni che il bagnarmi procura. Lui ride come sempre quando gioco con lui.
Cosa sarà della vita che ci rimane da vivere insieme? Come potremo condividere
il cammino che entrambi abbiamo da percorrere? Sento che l’essere padre
significa amare e guidare, amare e gioire, amare ed imparare, amare e rinunciare
per l’altro, amare e crescere insieme, amare e capire. Capire cosa? Capire che
il dono ricevuto è incommensurabile.
Piove, ed ora avrei voglia di lasciarmi andare alla commozione, al pianto di gioia per essere riuscito ad essere qui, ad “essere”, qui. E pensare che avevo paura di riconoscere il mio essere nulla, non sapendo che da li sarei potuto andare verso la rinascita, verso la tua gioia Signore, che attendi con pazienza che noi ti cerchiamo per manifestarti umilmente il nostro peccato. Ci attendi per venirci incontro con le braccia aperte, per avvolgerci di te.
Piove,
e mi accorgo che sono andato avanti con i miei pensieri, e che avevo voglia di
farli fluire. Guardo la pioggia, le piante, le nuvole, ascolto il vento fresco,
il rumore dell’acqua che scende e che scorre; penso alle bellezze della
natura, che ci parla dell’armonia della vita, pur immersa in apparenze di
dolore e di morte. So bene che siamo immersi in una realtà ancora di basso
livello, dove tanta sofferenza non trova rimedio. Gli angeli, che con il loro
spirito puro accettano la chiamata del Signore a darsi da fare per noi, per
proteggerci ed aiutarci, sussurrano nel nostro orecchio parole di salvezza; ma
quando ci fermiamo ad ascoltarli?
Fermarsi,
ascoltare, sentire, capire, riconoscere, condividere le parole di vita eterna
che il Signore in tutti i modi ci comunica, non è una cosa facile. Me ne rendo
conto, mentre seduto davanti alla finestra aperta con la pioggia che continua a
scendere, semplicemente “mi lascio sentire”. Riesco a lasciare ogni
preoccupazione lontano da me, e semplicemente stò, così come faccio quando
medito con il mantra. Medito, e la mia coscienza si dilata e si distende verso
l’infinito, e di nuovo percepisco il mio nulla. Comincio ad abituarmi a questa
sensazione, che non mi spaventa né mi turba, ma che riconosco come vera. Mi
risuonano nella mente le parole sentite ieri nel vangelo della messa (Giovanni
4, 23-24): “Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori
adoreranno il padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori.
Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”.
In
spirito e verità… non so bene perché ma queste parole risuonano in modo
particolare nella mia mente, forse perché da tempo mi accorgo dell’urgenza di
essere sinceri e veritieri. “Il signore è vicino a chi lo cerca”, dice il
salmista, ma come si fa ad essere vicini a qualcuno che non possiamo né vedere
né sentire? Forse proprio in questo modo, essendo sinceri e veritieri.
Allora
riuscire ad arrivare nella profondità del nostro essere significa attraversare
il doloroso senso di sconfitta che deriva dal nostro riconoscere di essere
miseri, e allo stesso tempo riconoscere l’altro aspetto della verità: la
grandezza di Dio.
Che
gioia Signore essere istruiti da te, che hai solo parole di vita eterna. Che
gioia Signore avere voglia di avvicinarsi a te, impegnarmi perché io ed i miei
fratelli possiamo scoprirti. E’ bello per me sapere che tu non vuoi il mio
adattamento, ma la mia emancipazione. E’ per questo che il cammino è così
lungo, perché tu mi lasci libero di scegliere. Anche la mia volontà diventa
qualcosa che riconosce te come la fonte della vita, e non deve più compiere
sforzi, ma soltanto fluire liberamente. Fluire, così come la pioggia, così
come l’acqua che scorre e va al mare.
Mi
accorgo che la pioggia è diminuita, forse non stà più piovendo. Ora ho voglia
di alzarmi da questa sedia, e di scrivere subito questi pensieri. Ho voglia di
farlo per poterli fermare nel tempo e nello spazio, per poteri rileggere. E
perché anche tu, fratello mio, che stai leggendo queste righe, possa fermarti e
conoscere questi miei pensieri, e viverli con me.