di
Enrico Loria
1 - Premesse psicologiche.
Per parlare di psicologia in campo meditativo, è opportuno fare dei brevi riferimenti ad alcuni concetti in campo psicologico. Esiste un Io, che si forma dall’impatto di quell’entità prodotta al momento del concepimento, preordinata geneticamente, col mondo. L’Io, durante tutto l’arco della vita, tende a condurre la persona secondo le sue convinzioni. La sua possibilità di capire la realtà è soggettiva, ed è condizionata dalla reale capacità di sapere, conoscere la verità, e dalla forza che si possiede di viverla e manifestarla. Per l’Io, un evento reale o immaginario, non hanno alcuna differenza, nel momento in cui lo interpreta come “dato”. La sua coscienza, la sua consapevolezza, sono più o meno ristrette.
Secondo il modello psicoanalitico il Super-Io, che struttura ma anche distorce e irrigidisce, e l’Inconscio, come entità sconosciuta che influenza la vita psichica, sono gli elementi fondamentali del funzionamento mentale e del disagio psichico collegato. Anche tutti gli altri modelli in campo psichico, si confinano nel loro svilupparsi al campo stretto del modello scientifico, pur essendo vero che il termine “Psiche” vuol dire “Anima”. Freud stesso nel formulare il suo modello, ammetteva di voler lasciare fuori qualsiasi aspetto mistico, che lui definiva in modo negativo come “occulto”. Desiderava fosse messo un baluardo protettivo verso l’occulto, e basava tutto il suo modello sulla pulsione sessuale.
Un grande passo in avanti si era fatto con C.G. Jung, che già durante i dialoghi e le discussioni con S. Freud sottolineava la opportunità di allargare il modello, e di integrarlo con gli aspetti spirituali: sentiva infatti dentro sé la spinta interiore dello Spirito, e ciò gli poneva forti dubbi sulla teoria grande S. Freud. Per tale motivo veniva accusato di misticismo.
Rudolf Steiner, spiritualista, si era accorto di questa apertura dedicando la sua attenzione a Jung in due conferenze. Massimo Rinaldi nel suo articolo “La Psicologia di C.G. Jung e lo spiritualismo di R.Steiner: due concezioni a confronto”, riferisce: “La scuola di Jung costituisce ancora oggi una delle poche scuole di pensiero in campo psicologico in cui l’immagine dell’uomo conservi una dimensione spirituale, in cui la vita dell’anima venga riconosciuta in quanto tale. Restituì dignità alla tensione dell’uomo verso il divino, all’autenticità del suo sentimento religioso, riconoscendone l’originalità e l’autonomia rispetto alle istanze psichiche, e rifiutando il riduzionismo sessuale freudiano ed ogni tentazione di negazione. Jung coniò anche, per denominare tale spinta interiore, il concetto specifico di funzione religiosa dell’inconscio. In secondo luogo egli comprese che le immagini psichiche possiedono una loro vita autonoma, ed individuò e definì, da un lato, i cosiddetti complessi, e dall’altro gli archetipi. Attraverso queste scoperte egli giunse quindi al concetto di inconscio collettivo, che risulta certamente ingenuo di fronte alle complesse concezioni e alle precise visioni steineriane, ma appare prezioso di fronte al “vuoto pneumatico” in cui versa la scienza attuale. In esso - l’inconscio collettivo - e nei suoi concetti archetipici egli riconosce di fatto l’esistenza e la specificità del mondo spirituale. Infine Jung concepì la personalità come qualcosa che oltrepassa l’Io ordinario – la piccola coscienza – che fa parte di quella come parte di un tutto, come ente tra gli enti, e chiama “Sé” questa entità interiore complessiva. Nel concetto di individuazione che è anche per Jung il fine ultimo della psicoterapia, egli racchiude il processo di armonizzazione e di adeguamento della personalità ordinaria dell’Io al Sé.”
Pierre Daco ispirandosi a Jung, nel suo libro “Che cos’è la Psicoanalisi”, parlando dell’inconscio collettivo dice: “L’inconscio collettivo non è mai malato, semplicemente perché è impersonale. Esso non appartiene all’esperienza individuale. Le rimozioni, i complessi, le inibizioni non si trovano mai nell’inconscio collettivo ma nell’inconscio personale. In fondo si potrebbe paragonare l’inconscio collettivo ad un essere gigantesco. Quest’essere sarebbe vissuto per migliaia di anni; dopo migliaia di anni sarebbe rimasto simile a se stesso. Con un solo sguardo abbraccerebbe la storia dell’umanità intera. Si ricorderebbe di tutte le esperienze umane profonde, di tutte le paure, di tutte le emozioni. Esso si troverebbe in ogni individuo; e noi, col nostro inconscio personale e il nostro Io, siamo immersi in questo inconscio collettivo per tutta la nostra vita.
Del resto riflettiamo un po’. Ecco un uomo di media età, quaranta anni per esempio. Prendiamo ora cinquanta uomini di quaranta anni e disponiamoli uno accanto all’altro nel tempo. Cinquanta uomini di quaranta anni = duemila anni ci riportano ad un tempo anteriore alla nascita di Cristo. E durante questo piccolo arco di cinquanta volte quaranta anni, diecimila guerre sono scoppiate. Miliardi di uomini si sono mescolati, decine di miliardi di differenti Io si sono agitati, hanno lavorato, sofferto, creato, sono morti sulla superficie della terra. Ma in questo gigantesco vortice di molecole umane, una cosa fu comune e inalterabile: l’inconscio collettivo, attivo, invisibile, che ha prodotto, a partire da una medesima sorgente, una proliferazione di simboli, di azioni e di emozioni.
Così, di ogni umana entità, la vita profonda, indipendentemente dalla razza, dalla religione, dall’intelligenza, è rimasta rigorosamente la stessa. L’inconscio collettivo è quindi formato di immagini psichiche, deposte come un sedimento vivente, attraverso i tempi. Si potrebbe riassumere dicendo che l’inconscio collettivo è un inconscio superiore. E’ una eredità mentale comune a tutta l’umanità, senza distinzioni di cultura né di razza. Questo inconscio collettivo si manifesta attraverso archetipi e simboli. In tal modo ci mette in contatto con la parte più intima dell’uomo, da sempre immutata.”
Come descritto da Silvia Schwarz, Jung fu mosso da una spinta interiore potente che lo ha orientato nel corso della vita, risultato delle sue attività introspettive condotte per tutta la vita. Steiner affermò che nei grandi uomini i difetti mostrano una paradossale coincidenza con gli elementi di grandezza. Jung non ammetteva qualcosa che non avesse egli stesso sperimentato; non poteva neppure ipotizzare l’esistenza di qualcosa che trascendesse la sua propria esperienza. Pertanto egli trovò il suo limite proprio nel non poter superare, con la comprensione, il livello della propria esperienza interiore, che, possiamo affermare con una certa sicurezza di giudizio, si situava a livello della coscienza immaginativa; nel non riuscire cioè, ad accogliere contenuti più avanzati sul piano della coscienza spirituale.
Jung, tuttavia, combattè il pregiudizio materialistico pseudo-scentifico trovando il conforto delle proprie esperienze interiori che hanno reso le sue formulazioni una scuola di pensiero con cui bisogna fare i conti.
In realtà esistono modelli dove l’aspetto spirituale è integrato nella sua architettura di base, e dove la guarigione corrisponde ad una conversione. E’ il caso dell’Enneagramma, a cui qui non faremo riferimento, ma al quale si rimanda. (leggi per esempio L’Enneagramma, edizioni paoline)
2 - Il viaggio spirituale: integrazione tra Io e vero Sé.
Con la meditazione compiamo un viaggio in un sentiero che ci porta ad incontrare il nostro Vero sé, così come descritto da Sr. Eileen O’Hea CSJ nella conferenza “The Spiritual Journey” a San Francisco nel 1999. Superare i limiti del nostro Io per arrivare nel profondo di noi stessi. Essere “uno” col divino amore, che va al di là della mente razionale, e del nostro ego. E’ una esperienza che non può essere descritta a parole, perché è il mondo della “non conoscenza”, che realizziamo nella profondità del nostro essere.
Chi è l’uomo? Come cristiani affermiamo che è il figlio di Dio, fatto a sua immagine e somiglianza. E’ animato dallo spirito di Dio, lo stesso del Cristo, lo stesso che lo ha portato alla sua morte e resurrezione, e che continua a vivere in ciascuno di noi. Entrare in contatto con questa realtà di base, significa sperimentare pace, gioia, amore.
Nella realtà quotidiana però non sono sempre questi i sentimenti che proviamo. Più spesso è l’ansia, l’angoscia, il senso di colpa, la paura che ci accompagnano. Il nostro ego è pressato da sensazioni negative, da convinzioni e automatismi, da schemi mentali che limitano e condizionano la comprensione della realtà. Sensazioni di essere sbagliati, di non andare bene, essere cattivi sono collegate all’ego. Esso risulta attaccato a questi schemi di pensiero, sotto la spinta di condizionamenti educativi, genitoriali, culturali.
Il viaggio spirituale è un riconnettersi col vero sé. Attraversare quel processo di cambiamento, che dura tutta una vita. Abbandonare gli attaccamenti dell’ego per essere uno con l’altro.
Il Divino ci cerca di continuo, ci attira a sé come una madre attira suo figlio, per essere uniti a lui. Ci attira per essere in unione, in comunione con lui. Camminare nel sentiero che ci riconnette al vero sé ci spinge ad arrivare sempre di più verso la consapevolezza contemplativa, che è interamente immersa nel luogo dove non c’è contrasto. E’ un’esperienza che può essere indicata, ma che non può essere interamente descritta. E’ la condizione dove la devozione e l’impegno sono all’apice, non sostenuti dall’ego.
Il momento contemplativo è un momento di non conoscenza. Non sapete che state conoscendo, perché non c’è nulla da mettere a confronto. Nel momento contemplativo non si domina né si è dominati, né si possono provare sentimenti di inadeguatezza. Siamo fatti per sperimentare questo. Provare sensazioni di inadeguatezza, di contrasto, di inferiorità significa che non riusciamo ad entrare in contatto con noi stessi, non riusciamo a fare una esperienza di contatto col vero sé, ma che siamo attaccati al nostro ego.
Nella consapevolezza contemplativa non c’è contrasto né paragone. E’ una realtà dove non c’è qualcosa di più alto o di più basso, di migliore o di peggiore. Non c’è qualcosa di più religioso o meno religioso. Siamo intessuti col vero sé in Cristo.
Il cammino della ricerca del vero sé e della sua integrazione nella nostra persona può essere schematizzato nelle seguenti dieci tappe.
1) Sulla spinta del Divino che sempre ci attira a sé sentiamo il desiderio di metterci alla ricerca della nostra parte più profonda, della nostra vera natura.
2) Mentre siamo alla ricerca cominciamo ad avere alcuni segnali, che ci incoraggiano nella nostra ricerca e ci rassicurano sul buon esito della ricerca.
3) In lontananza riconosciamo un aspetto della nostra profondità, del vero sé, è ciò ci spinge ad andare avanti.
4) Finalmente incontriamo da vicino il vero sé. L’Io ed il Sé sono in contatto. Riusciamo a cogliere che cielo e terra hanno la stessa radice. Avere trovato il tesoro però ci fa realizzare che siamo ancora fortemente legati al nostro ego, alle sue passioni e desideri. Siamo legati al nostro ego che giudica, odia, esercita potere sugli altri. Abbiamo a che fare con il ricordo sommerso dei vecchi traumi che hanno condizionato la nostra forma mentis, col nostro sentire di non andare bene. Più ci apriamo ad un approfondimento nella preghiera, più andiamo in profondità nel sentieri di crescita spirituale, più viene fuori l’Io che si fa vedere. Pensavamo che la preghiera ci rendesse più santi, invece andando nella profondità di noi stessi incontriamo le vecchie ferite, e vengono fuori i comportamenti collegati (acting out). Questa però è una dimostrazione che stiamo andando in profondità nel cammino spirituale. Più andiamo in contatto col vero sé più ci distacchiamo dal nostro Io.
5) Non siamo più dominati dall’ego, anche se siamo consapevoli di esso. Abbiamo la sensazione che ora le cose sono abbastanza bilanciate, si fanno i conti, si fa pace con sé stessi. Si comprende che “io sono anche l’altro”.
6) Il vero sé ci conduce a casa. Abbiamo trovato la verità, e continuiamo a fare ciò che stavamo facendo. Con animo tranquillo e gioioso ci lasciamo condurre. Non c’è un punto di arrivo; siamo in contatto col mistero divino. Non è importante la nostra età, ma l’apertura col divino. Questa esperienza del divino ci chiama a sé e coinvolge una esperienza di morte. Ogni volta che sperimentiamo una morte troviamo una nuova vita. Fare morire l’Io e gli attaccamenti, per rinascere a nuova vita. Persone che hanno problemi di dipendenza, arrivano alla scelta di distaccarsi e di rinascere a nuova vita. Trovare l’amore universale di Dio comporta un distacco, una morte da una persona o da una dipendenza.
7) Tutto è dimenticato, non vediamo più il vero sé ne l’Io. Il sentiero spirituale è oltre tutte le religioni, tutto ciò che ci siamo costruiti, compresi i modelli di Dio. La nuova vita ci porta ad un Dio che è al di là di ogni forma, ci porta dentro il mistero.
8) Vuoto. Tutto è andato, non avere nulla a cui appartenere o identificarsi. La notte buia dell’anima. Quando muore il nostro ego proviamo un grande vuoto, tristezza e dolore. Il distacco dall’Io deve passare attraverso questa esperienza di morte. I mistici dicono che l’esperienza di Dio non è Dio. L’esperienza di vuoto è quella che Gesù quando invoca il Padre dicendo: “Perché mi hai abbandonato?”
9) Si ritorna alla sorgente. L’ambiente è lo stesso di prima, ma siamo cambiati e vediamo la realtà in modo diverso. Gesù dice: “Nelle tue mani rimetto il mio spirito”. Non c’è trasformazione senza morte. La morte è legata alla fede, perché incontriamo la nuova vita. Il mondo è diverso, perché siamo entrati ad un livello di profondità prima sconosciuto. Andiamo verso una resurrezione che ci porta ad essere più svegli, più consapevoli di tutto il mondo e di noi stessi. Siamo in grado di comprendere il bene ed il male che facciamo. Conoscere il mondo, la sofferenza, la interconnessione di tutte le cose. Soffriamo per gli altri, perché siamo connessi con gli altri. Un indice che siamo in questa fase di profondità è che non sopportiamo più di vedere tutte le meschinità e l’egoismo, anche illustrate alla televisione.
10) L’uomo integrato e connesso al vero sé “ritorna in città” più saggio, più vecchio, pacioccone, distaccato dagli affanni, dagli schemi mentali. Ritorna diverso a causa della sua trasformazione. Siamo “costretti” a fare ciò che l’amore fa. Andiamo al di là di noi stessi, animati dall’amore per il servizio, dall’amore per gli altri. Il dare se stessi agli altri ci fa trovare sempre di più la nostra vera natura. Siamo persone generose. Abbiamo con noi una borsa piena di doni per gli altri. Non andiamo più alla ricerca del vero sé, ne siamo in contatto con lui, ma siamo integrati in lui. Mente e cuore diventano ciò che noi realmente siamo.
Il viaggio spirituale nella preghiera e nella meditazione quindi portano al distacco dall’ego. Esso non ti domina più.
Cristo ci incontra qui, nel buio della nostra vita. Per toglierci dalla sofferenza.